Lorenzo Insigne rivela un retroscena sul rapporto con Napoli. Il capitano degli azzurri giura amore alla città e al popolo napoletano.
Lorenzo Inisgne a fine campionato terminerà la sua avventura con la maglia del Napoli, ha firmato un contratto faraonico con il Toronto e volerà nella MLS americana. Insigne ha parlato del suo rapporto con Napoli ai microfoni di rivista 11. Il talento di Frattamaggiore parla a tutto tondo di Napoli e del Napoli, rivelando anche il rapporto con i suoi allenatori.
Lorenzo Insigne è nato a Napoli il 4 giugno del 1991. È entrato nel settore giovanile del Napoli a 13 anni, per poi esordire in prima squadra a 18 anni, nel gennaio 2010, nei minuti finali di una partita giocata a Livorno. Diventa capitano nel 2019, subito dopo il trasferimento di Marek Hamsik in Cina.
«Vuoi sapere che cosa Napoli non ha capito di me? Ho un carattere particolare. So scherzare con tutti, ma all’inizio tengo le distanze. Per alcuni tifosi è superbia, sembra che me la voglia tirare. È solo un atteggiamento di difesa. Qualcuno non mi ha mai compreso al 100 per cento. Chi mi conosce davvero, sa come sono fatto».
E poi c’è quello che non ha capito di Napoli l’Italia.
«Credo che il problema appartenga a ogni città del sud. Napoli, se non la vivi, non la conosci. Io sono nato qua, potrei non fare testo, ma sento parlar bene di Napoli da tutti i miei compagni dentro lo spogliatoio, quelli che hanno girato tanto il mondo, quelli che sono venuti con le famiglie. Io non potrei dire cose sensate su Torino, se non ho mai vissuto là. Credo debba valere lo stesso per Napoli, che soffre di molti pregiudizi, resta spesso schiacciata da un certo odio che esiste tra i tifosi. Ci rimango male quando dal campo sento quei cori contro la mia terra, spero che un giorno le cose possano cambiare».
Tra l’Insigne del Super Santos dei campetti di Frattamaggiore e questo che può portare il 10 solo in Nazionale, c’è stata una galleria di incontri che gli hanno aggiunto spesso qualcosa, ma ogni tanto gliel’hanno tolta, perché pure sottraendo si somma valore, come sa chi scolpisce nella pietra.
«Zeman è stato decisivo, il primo a credere in me. Lui e il d.s. Pavone sono stati i primi a vedere qualcosa in un ragazzino. Mi chiedeva di non rientrare mai oltre la linea del centrocampo. Non difendevo. Ero sempre fresco».
Mazzarri: «Il mio primo anno in A. Un anno di di passaggio. Davanti avevo Pandev e Cavani».
Benítez: «Mi ha completato. Avevo sempre pensato che per me il calcio fosse solo attaccare».
Sarri: «Il calcio con lui è gioia. Mi sono divertito tanto in tre anni, ci è solo rimasta la delusione di non aver vinto lo scudetto».
Ancelotti: «È tornato ai metodi di Benítez. Non è vero che non ci siamo presi. Avevamo idee diverse, questo sì. Su cose di campo».
Gattuso: «Gli devo tanto. Dopo gli anni di Ancelotti così così, è stato bravo a farmi tornare sui miei passi e a rimotivarmi».
Ora Spalletti: «Una personalità forte. Ci ha restituito consapevolezza nella nostra forza».