LO SAPEVATE CHE: IL PRESEPE NAPOLETANO FU UN IDEA DEI BORBONE

IL PRESEPE NAPOLETANO FU UN IDEA DEI BORBONE. CARLO III EREDITO’ LA CONSUETUDINE DEL PRESEPE NAPOLETANO DAL PADRE FILIPPO V.

Di: Gabriella Cundari

Il presepe del Settecento fu ben diverso da quello essenzialmen­te religioso che accompagnava la festività natalizia nei secoli precedenti; esso ebbe carattere di diletto e hobby a cui i re si dedicavano in prima persona; assunse, cioè, il carattere di una moda di corte, tanto da meritare ai tempi odierni l’appellativo di ‘cortese’.

Carlo III di Borbone ereditò la devota consuetudine dell’allestimento del presepe dal padre Filippo V il quale, dopo aver avuto in dotazione un presepio napoletano da un certo Nicola Speruti, ogni anno, nel palazzo del Buen Retiro, lo faceva preparare da abilissimi creatori di presepi in creta spagnoli, formati alla scuola di celebri artisti portoghesi.

Uomo di grande fede religiosa e promotore delle arti applicate nel regno di Napoli, il re, su consiglio del domenicano padre Rocco favorì il diffondersi dell’arte presepiale e vi si dedicava egli stesso, nelle ore libere dagli impegni di governo, con la collaborazione della regina Maria Amalia, la quale non solo provvedeva alla scelta delle vesti dei pastori alla loro cucitura nel corso di quasi l’intero anno, ma desiderava che nessun estraneo prendesse parte alla dilettevole opera, dovendo essa restare una sorpresa per tutti.

Tale abitudine natalizia fu continuata da Ferdinando IV e Ferdinando II nella reggia di Caserta, San Leucio, Carditello, Portici e nelle altre residenze ove i reali decidevano di trascorrere il Natale, (lo stesso Carlo IV di Borbone allestiva ogni anno il suo presepe in Spagna con pastori modellati a Napoli) e fu seguita poi da tutte le famiglie gentilizie che, mediante la scenografia presepiale, potevano evidenziare la propria intelligenza, cultura ed anche il proprio potere economico.

Ci fu così, per tutto il Settecento, un fervido modellare di innumerevoli figure presepiali e poiché le statuine interamente scolpite richiedevano tempi di preparazione più lunghi, furono sostituite con altre di terracotta facilmente riproducibili con gli stampi, e manichini di stoffa e fil di ferro con testine in terracotta dipinta e ricoperti di abito sfarzosi secondo l’occorrenza. Alla scultura presepiale si diedero con passione architetti famosi come Muzio Nauclerio e Nicola Tagliacozzi Canale, scultori celebri quali Domenico Antonio Vaccaro, i Bottigliero padre e figlio, Nicola e Saverio Vassallo, grandi pittori come Francesco Celebrano, Giuseppe Sammartino ed Angelo Viva; questi legarono il proprio nome oltre che la opere proprie dell’arte che praticavano, alle opere presepiali.

Con loro sono da annoverare Aniello Nicola ed Eduardo Ingaldo Francesco Gallo ed altri, nonché gli scultori di “finimenti”: le verdure, i frutti e tutti i commestibili, come Giovanni Picano, Michele Trillocco, ecc. I veri creatori dei presepi erano non i modellatori bensì gli artisti che li progettavano e li “dirigevano” tra cui Nicola De Fazio, Vincenzo Re e Antonio Jolli o Joli.

Il presepe ‘cortese’ napoletano, ben diverso dai presepi religiosi allestiti nelle chiese e nei conventi, era composto da una miriade di figure che rappresentavano vivi brani di vita quotidiana, parti del quadro generale della vita cittadina di Napoli; sembra infatti, che la Palestina non fosse altro che la via centrale della città con i suoi abitanti, artigiani di ogni genere: sarti, calzolai, fabbri, sellai, maniscalchi intenti al lavoro davanti ai loro bassi, con i venditori al minuto davanti ai banchi di frutta e verdura, mozzarella, ricotta e cacio cavalli, pesce e frutti di mare, pollame, vitelli e manzi, baccalà, stoccafisso, prosciutti, agli, cipolle, castagne abbrustolite, camerieri davanti ai loro caffè, venditori di cozze e di polipi cotti.

Sempre all’aperto, nelle strade, erano disposti gli acquaioli davanti Ai loro banchi di vendita e l’immancabile taverna con l’oste in grembiule bianco colto nell’atto di preparare maccheroni e friggere bistecche o di servire i clienti seduti ai tavoli sulle rozze panche e in varie pose o nell’atto di fare la carità di maccheroni a monelli laceri e a poveri cenciosi.

Tutta questa folla di venditori aveva il proprio gruppo di osservatori intenti a guardarli e nell’atto di mangiare e di bere. Sullo sfondo il Vesuvio fumante o angoli di campagne vesuviane, con fiumi o laghetti, disseminati di greggi di pecore pascolanti con i loro pastori, cacciatori intenti a sparare, zampognari, pastorelli e contadini recanti doni al divin Bambinello.

Immancabili i Magi con la folla multicolore del loro seguito orientaleggiante, le cosiddette “turqueries»: sultani, cammellieri, palafrenieri, guidatori di elefanti, asinai, schiavi portatori di bagagli, suonatori di strumenti vari, tutti con le loro sgargianti vesti orientali, scimmie, leoni.

Ai tempi di Carlo di Borbone il presepe si arricchì, per influsso degli scavi di Pompei e di Ercolano, allora condotti e promossi dallo stesso sovrano, di rovine di templi greco-romani nei pressi della grotta del Bambinello, e dei personaggi con i costumi tipici delle varie province del regno di Napoli, il popolo napoletano vi era presentato con crudo verismo e con esso tutta la società cosmopoli­tica della Napoli del Settecento ed è da notare come tutti i ‘finimenti’ minuti fossero lavorati nelle reali fabbriche degli acciai e delle porcellane.

Più tardi l’operazione presepio; già riservata a Chiese e nobiltà, si diffuse anche nelle case dei ricchi borghesi e nell’Ottocento raggiunse le case più umili, con piccoli personaggi i creta e rusticamente dipinti a mano.

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