Disastrosa comunicazione della Ssc Napoli, l’hashtag #A16 diventa virale

La disastrosa comunicazione della Ssc Napoli, La popolarità dell’hashtag #A16  segna la spaccatura tra società e tifosi.

Disastrosa la comunicazione della Ssc Napoli: Dovrebbe essere Davide, ma finge di essere Golia.  A differenza di un’opinione largamente diffusa, non credo che il Napoli faccia tutto bene eccetto la comunicazione.

La mancata crescita strutturale, l’assenza di un progetto importante per le giovanili. Il disimpegno nel mercato di gennaio nei due anni in cui siamo stati campioni d’inverno. Sono solo alcuni degli elementi che il club avrebbe potuto a mio avviso gestire meglio, invece che limitarsi a un modello di business troppo sbilanciato sul player trading e sui premi Uefa che la pandemia, evento ovviamente imprevedibile, ha trasformato nella tempesta perfetta.

L’HASHTAG A 16 DIVENTA VIRALE

Tuttavia, quali che siano le opinioni personali sulle criticità, la comunicazione è senza alcun dubbio un fattore oggettivo di grande vulnerabilità del club. Forse il più rilevante. Basta dare un’occhiata a qualsiasi post del Napoli sui social, per rendersi conto che la contestazione lede pesantemente l’immagine del club. La popolarità dell’hashtag #A16 (la denominazione dell’autostrada Napoli-Bari, quindi un invito alla famiglia De Laurentiis a vendere il Napoli e dirigersi verso le coste pugliesi) è solo la punta dell’iceberg, ma rappresenta comunque il termometro di un’insofferenza diventata troppo ampia per passare sotto silenzio. Era evitabile?

LA COMUNICAZIONE DEL NAPOLI

Avremmo per esempio lo stesso scenario, se Aurelio De Laurentiis si fosse limitato a dire dopo il trittico di partite maledette che hanno cancellato il sogno… Chiediamo scusa ai tifosi (come pur ha detto), siamo dispiaciuti come loro, ci riproveremo il prossimo anno? Leggeremmo la stessa teoria di irripetibili insulti, se il club avesse ricordato che era il primo anno di Spalletti e la priorità quel piazzamento Champions fallito nelle due precedenti stagioni? Credo onestamente che la reazione della piazza sarebbe stata molto diversa, di fronte a una sana dose di realismo.

Proseguendo sulla strada di questo ragionamento, arriviamo quindi al principale problema della comunicazione del Napoli. Dovrebbe puntare a raccontarsi come Davide, il pastorello simbolo della lotta contro i potenti, invece si spaccia per Golia senza essere un gigante.

Fra i club principali del calcio italiano, la Ssc Napoli rappresenta ormai insieme alla Lazio l’unico club a conduzione familiare. Dovrebbe perciò valorizzare il topos del più debole in lotta contro il più forte, e per sconfiggerlo chiama a raccolta intorno a sé la città e la tifoseria. L’unità di intenti come collante e propellente. L’identità di una piazza che ha una sola squadra declinata nella grammatica dell’unicità. Il Napoli invece non fa niente di tutto questo.

GLI SHOW DI DE LAURENTIIS

Recentemente, Aurelio De Laurentiis nel corso di una delle sue consuete esternazioni show ha messo sul tavolo prima 70 milioni per lo stadio, poi 300 milioni e infine, bontà sua, altri 100 milioni. Li avrei spesi, asserisce come uno che è arrivato a Napoli l’anno scorso e non fosse invece noto per aver adottato un modello che non prevede nessun investimento strutturale, ma non l’ho fatto perché in Italia non ci sono le leggi anti hooligans che la Thatcher ha adottato in Inghilterra negli anni Sessanta. Appena un paio di settimane dopo è andato a chiedere lo sconto al Comune di Napoli per i canoni di locazione che non paga da alcuni anni.

Ecco, in questo polpettone in cui mette teoricamente sul piatto 470 milioni e riesce a sbagliare perfino le date di tre decenni, c’è un altro elemento centrale della pessima comunicazione: il rapporto con la tifoseria.

Mentre ci chiediamo dove siano questi fantomatici hooligans italiani, è bene dare uno sguardo proprio al calcio inglese. La Premier League è il campionato più ricco del mondo. Non ci sono quindi presidenti tifosi, ma imprenditori consapevoli che la loro clientela compra a caro prezzo un prodotto non essenziale, che non acquisterebbe mai quello della concorrenza e, soprattutto, lo fa esclusivamente per passione. Il marketing dei club inglesi è basato proprio per questo sulla narrazione passionale, perché è quel sentimento a rendere il football profittevole.

TIFOSERIA NAPOLETANA SPACCATA IN DUE FAZIONI

In questi giorni sono a Londra, dove ho trascorso a più riprese oltre dieci anni della mia vita fino a dicembre del 2021, ma dove torno molto spesso. Ho provato inutilmente a spiegare ai miei amici inglesi che il nostro presidente ci ha detto che è colpa nostra, se ci siamo fatti ingolosire da uno scudetto che pur non vinciamo da 32 anni, perché non era un obiettivo del club. Non lo erano neanche l’Europa League e la Coppa Italia. Ho fatto ricorso a tutta la mia competenza linguistica per spiegarglielo. Ho saccheggiato il vocabolario, barcamenandomi fra we shouldn’t of been attracted, intrigued, or enticed, ma non sono riuscito a produrre altro che sonore risate e incredulità.

Qui, nel calcio business per eccellenza nessuno direbbe una cosa del genere ai propri tifosi, anche considerandoli semplicemente clienti. Lo dice invece Aurelio De Laurentiis, che è riuscito nell’impresa unica di trasformare la tifoseria napoletana in due fazioni aspramente contrapposte, pur in assenza di un’altra squadra cittadina. Credo sia un record mondiale.

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