Come è nato Robertino? Renato Scarpa racconta la sua esperienza con Massimo Troisi e svela alcune curiosità: “Massimo aveva la profondità di Eduardo e la comicità di Totò”
Ha la voce garbata del dottor Cazzaniga di “Così parlò Bellavista” e lo sguardo dell’artista che ha vissuto il cinema da spalla con ironia, intelligenza e talento. Il mitico Robertino di “Ricomincio da tre” (1981).
L’antidivo Renato Scarpa è stato una delle spalle preferite da Massimo Troisi. Attore di grande qualità, ha lavorato con Sergio Leone e Carlo Verdone, solo per citane alcuni.
Renato Scarpa: Ecco come è nato Robertino.
«Massimo Troisi, come tutte le persone che hanno sofferto, era molto sensibile. Aveva colto qualcosa in me: sono figlio di una vedova, orfano della guerra, mio padre è morto a 28 anni.
Il personaggio di Robertino forse ce l’avevo dentro, Massimo l’ha tirato fuori. Robertino a Massimo è venuto in mente quando mi ha visto nel primo film di Verdone “Un sacco bello”.
Ero il timido Sergio, ruolo che mi diede lo speciale “aiuto regia” di Verdone nel film.
Devo a Sergio Leone il ruolo affettuoso del “pirla” nel cinema…»
Com’era stare sul set con Troisi?
«Tra noi c’ è stata subito una grande alchimia. La scena di Robertino non l’abbiamo mai ripetuta, come se l’avessimo sempre fatta.
Massimo ha abbattuto i pregiudizi sul Sud, dal machismo al superomismo, allo stereotipo sulla famiglia. Ha fatto un film generazionale, è un idolo come Marilyn.
Era speciale, il fratello che chiunque avrebbe voluto avere, un amico vero. Un portabandiera dell’onestà.
Citando Dickens dico sempre che Massimo è una persona di quelle che si incontrano quando la vita decide di farti un regalo.
Un uomo senza sovrastrutture. Un talento enorme, una summa tra la profondità di Eduardo e la comicità di Totò. Ma con uno stile tutto suo».
Renato scarpa non è solo Robertino. Troisi l’ha voluta anche nel suo ultimo film “Il postino”…
«Troisi sapeva che “Il postino” sarebbe stato l’ultimo film, dopo i responsi medici avuti in Usa, e ce ne siamo poi resi conto tutti sul set.
Ha fatto di tutto per avermi. In un cast tutto mediterraneo io interpretavo il capo telegrafista comunista del paese venuto dal Nord. Dopo il provino con il regista Michael Radford chiesi a Massimo io cosa c’entrassi in quel cast. E lui mi rispose: “C’entri: nel film tu sei comunista? E quindi sei stato punito e mandato al Sud».
Con Troisi ha imparato ad amare Napoli, ma anche con Luciano De Crescenzo e “Così parlò Bellavista”…
«Adoro la città, le chiese, Capodimonte, vengo a Napoli spesso, ho molti amici. Invece mi arrabbio quando in taxi vado verso il Vomero e vedo lo scempio edilizio de “Le mani sulla città” di Rosi».