Napoli e tifosi divisi su Insigne. Giallo su una frase del padre

Città e tifoseria spaccate nel giudizio sul capitano Insigne. Giallo su una frase liquidatoria del padre su Ancelotti.

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E’ stato quando s’è alzato il coro, che Napoli ha scoperto d’essere piombata in quel suo eterno conflitto calcistico. E’ un dibattito che ricorre, che divide, coinvolge, unisce nel san Paolo o anche fuori.
I fischi assordanti che sanno di sentenza, una frase sfuggita al papà – nel ventre del san Paolo – e poi smentita, le deduzioni su questa Storia che non è per niente insolita, è lo spaccato d’un vissuto che ritorna e che ha protagonisti e interpreti d’uno sceneggiato a cui manca soltanto l’epilogo.
Cosa sarà di Insigne e perché, dove e quando sia cominciato quest’ostracismo (quasi) di massa, se abbia ragioni delle quali si può fare anche a meno: ma Napoli è spaccata e ora si notano i cocci.

Insigne è lo scugnizzo della porta accanto ma anche un «reietto» – mai un vero Re – a cui non è mai stato perdonato né l’ultimo e né il prossimo tiro a giro; Insigne è quello che con l’Athletic Bilbao lanciò la maglia in terra, che con il Besiktas pianse in panchina dopo aver sbagliato un rigore; che a Reggio Emilia, un mese e mezzo fa, prese il miracolo e parlò quasi come Balotelli: «Perché sempre a me?».

C’è l’irruzione di Raiola nell’universo Insigne che sposta i ragionamenti, li rende aritmetici e due più due fa quattro.
Insigne s’è ritrovato con un macigno psicologico che il suo talento ha gestito con perle indimenticabili, con trecento presenze che hanno un senso non soltanto statistico e un senso della professionalità inattaccabile.

Nel delicato ruolo da leader, impegno gravoso, gli servirebbe quella personalità che appartiene al carattere. E poi, avrebbe detto Enzo Ferrari: “agli italiani si perdona tutto, tranne il successo…”.

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