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Il momento peggiore è la mattina dopo, quando si riaprono gli occhi. Napoli si sveglia e si ricorda che è successo davvero: Diego è morto. La città è la navata di un’immensa chiesa a cielo aperto. Necrologi sui muri, sciarpe e bandiere alle finestre, striscioni, scritte, fiori e candele votive: le pareti della città sono altari. È un funerale laico collettivo, celebrato a metà: è zona rossa, non ci si potrebbe raccogliere. Ma da mercoledì pomeriggio Napoli vive in una realtà sospesa: per la prima volta da quasi un anno, nessuno pensa al Covid.
Il sindaco De Magistris ha ricevuto ieri a palazzo San Giacomo la console generale della Repubblica Argentina a Roma, Ana de la Paz Titoeche, poco dopo, ha anche ricevuto un messaggio dall’Ambasciatore argentino, Roberto Carle’s, che lo ha ringraziato «a nome del popolo argentino e della famiglia Maradona, che ho visto poche ore fa, per l’omaggio della città e del popolo di Napoli al nostro carissimo Diego».
Il sindaco ha firmato l’ordinanza con cui ha proclamato il lutto cittadino «nel giorno delle esequie di Diego ed esposizione delle bandiere a mezz’asta negli edifici comunali, anche per le 24 ore successive alle esequie». «Il lutto cittadino è proclamato in virtù del fatto che — si legge nella motivazione — Maradona è stato il miglior interprete del calcio mondiale ed è entrato a far parte della storia e del patrimonio di Napoli con cui si è creato un legame indissolubile, unendosi al dolore dei familiari e dell’intero popolo argentino».
Nell’ordinanza De Magistris evidenzia che Maradona «con il suo talento e la sua magia ha onorato per sette anni la maglia della squadra del Napoli, regalandole i due scudetti della storia e altre coppe prestigiose, e ricevendo in cambio dalla città intera un amore eterno e incondizionato».
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De Magistris aggiunge : «Maradona ha incarnato il simbolo del riscatto – di una squadra e dell’intera città che in lui si è pienamente identificata e in lui supera ogni divisione e mortificazione. Maradona ha combattuto i pregiudizi e le discriminazioni di cui erano ancora oggetto i napoletani all’interno degli stadi, diventando idolo dell’intera città e mai nessuno è riuscito ad immedesimarsi in modo così completo nel corpo e nell’anima di Napoli, con la quale el Pibe de oro condivide la genialità e l’unicità, ma anche la sregolatezza e i tormenti che lo rendono vero figlio della città, una città che gli perdona anche le debolezze e le fragilità dell’uomo che mai offuscano la grandezza del campione»