Josè Maria Callejon dice addio al Napoli e alla Serie A. Uno dei giocatori più importanti e seri della storia del Calcio Napoli e di questo campionato.
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Ci sono una serie di fotografie che resteranno indelebili nella memoria dei tifosi del Napoli, quelle foto dicono tutto. Sono gli scatti in cui pare quasi che Callejon sia in zone diverse del campo contemporaneamente, quasi fossero dei fotomontaggi, ritoccati col filtro Callejon. Il numero 7 che taglia dietro il difensore e segna un gol all’Arsenal e che poi va a chiudere dentro l’area su un attaccante juventino. L’attaccante straordinario che realizza una doppietta indimenticabile all’Inter e che recupera decine di palloni a centrocampo, contro la Lazio, contro il Milan, contro il Bologna, contro chiunque.
Callejon è il calciatore mai stanco, mai sostituito, l’indispensabile. Eccolo che segna alla Roma in contropiede; eccolo , subito dopo, che ferma un contropiede dell’Udinese. Eccolo mentre effettua dieci, venti, cento cross. Eccolo che guarda in mezzo e perfeziona l’assist. Eccolo che di continuo duetta sulla fascia destra con Hysaj. Eccolo che si mostra grintoso e deciso, ma mai scorretto. Eccolo che abbraccia i compagni. Che li incita. Che fa l’inchino verso i tifosi. L’ultima, la più triste è l’addio di Callejon.
JOSÈ MARIA CALLEJON IL RAGAZZO DI MOTRIL
Per comprendere bene chi è Josè Callejon, spiega lo scrittore e giornalista Bruno Marra, bisogna capire a fondo che cos’è Motril. Un paesino che attraversa l’Andalusia fino a piedi della Sierra Nevada. Una landa di terra fieramente autonoma insorta alle barbarie del franchismo e ribellatasi al regime totalitarista con una radicata fierezza autoctona.
Una regione agreste che vive di campi e turismo, con un forte senso di famiglia e cristianità. Casa, chiesa e paella come nella migliore tradizione cattolica del “vivi, mangia, prega”. Lì è nato e cresciuto Callejon e non è certo un caso che si chiami Josè Maria – Giuseppe e Maria – battesimo di biblica memoria che richiama le origini della genesi, come un pegno di protezione e benedizione. Una luce minimalista e spartana che illumina e avvolge ancor oggi Callejon, il campione della porta accanto, senza accenti di esaltazione o vezzi sopra le righe. Josè è l’elogio della normalità, lui che destino volle far diventare speciale semplicemente perché era uguale. Uguale a suo fratello gemello Juan Miguel.
Sin da bambini erano per tutti “los gemelos”, come se quella connotazione avesse valenza di straordinarietà in un paese così quieto. Josè e Juan diventarono i gemelli del gol. Il padre, uomo schivo e silenzioso nascosto sotto due baffoni, atavico fregio di spessore e virilità, li portò a giocare entrambi per non compiere alcuna disparità. Ed aveva ragione. Perché “Juanmi” aveva il fisico più potente, sembrava il predestinato, ma Josè fu scelto nella cantera di Madrid, il Castilla, per la sua disposizione al sacrificio e la plasticità in campo. Nella Liga B infilò 21 gol in 40 partite, giocando da ala tornante. E così squillò il telefono di Florentino Perez: “c’è un ragazzino qui, che sembra un demonio…”.
JOSÈ È L’HOMBRE DEL PARTIDO
Callejon è il perfetto il maggiordomo di Hitchcock, quello che si mette il frac, i guanti bianchi, e ti sorride prima di ammazzarti. Ispanico con il ciuffo scolpito nel marmo, ha la faccia pulita di un tanguero e l’eleganza di un hidalgo ispanico, che ti fa danzare soavemente prima di stritolarti nel suo bacio ipnotico. Josè è l’hombre del partido, passato dal marchio Reale di Madrid allo stemma Borbonico. Come un doppio filo universale legato ad un destino epocale.
Nel gergo spagnolo “Callejon” significa letteralmente “vicoletto”. E Napoli conosce talmente bene i vicoli al punto d’avergli conferito la linfa dei miracoli e il prestigio degli illusionisti. Quelli che scompaiono per poi apparire esattamente nel punto che avevano annunciato. Mille volte, senza che nessuno li riesca mai ad afferrare. “Stu vico azzurro nun fernesce maje”.
E non finisce neppure adesso. Perché prima o poi riapparirai, all’improvviso come uscito dal nulla, in un angolo della memoria. E ci guarderai ancora con quella espressione impenetrabile e serena. Come un giorno qualunque a Motril, mentre si vive, si mangia e si prega…
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GRAZIE CALLETÍ
Josè Maria Callejon non è un calciatore qualsiasi, ma è semplicemente un amico con il quale si è condiviso un percorso significativo, abbracci che erano anche i nostri, delusioni metabolizzate insieme con l’orgoglio di sapere che la sua famiglia e le sue figlie napoletane porteranno dentro per sempre l’odore del mare di Posillipo e il sapore delle alghe verde smeraldo, i colori irripetibili e l’azzurro del cielo che si riverbera sulle maglie. Per un amico che piange mentre si allontana tutto diventa lecito, finanche piangere stupidamente di riconoscenza. Grazie Calletí per le gioie regalate e la tua lealtà.
L’ultima fotografia è la sintesi di tutte quelle che abbiamo guardato, è in bianco e nero. Un calciatore sta uscendo dal campo, la partita è finita. Il calciatore applaude in direzione del pubblico, cammina piano, guarda verso una curva, poi verso l’altra, verso le tribune e per ultimi i distinti. Il pubblico ricambia l’applauso, il calciatore ha dato tutto. Ha la maglia con le maniche lunghe, sulla maglia ha il numero 7, il suo nome è Josè Maria Callejon, ed è per molti motivi, il miglior calciatore che abbiamo mai avuto.