PROCESSO CUOCOLO
Di: Gabriella Cundari
Antefatto:
la mattina del 6 giugno 1906 venne scoperto sulla spiaggia denominata Cupa Calastro presso Torre del Greco, il cadavere crivellato di pugnalate di Gennaro Cuocolo, quarantacinquenne basista della camorra ed esperto in furti.
Lo stesso giorno fu rinvenuto anche il cadavere di sua moglie, Maria Cutinelli – complice del marito ed ex prostituta – che era stata pugnalata a morte nell’abitazione che la coppia occupava a Napoli, al n° 25 della via Nardones (Quartieri Spagnoli).
Su questo duplice delitto indagò dapprima la Polizia, ma senza esiti ed alcuni indiziati vennero presto rimessi in libertà per mancanza di prove. Successivamente l’indagine viene ripresa dai carabinieri reali che, guidati da un intraprendente ufficiale, il capitano Carlo Fabroni (in alcuni testi descritto come Fabbroni), ripresero in mano l’inchiesta istituendo una squadra speciale, denominata “i cosacchi”.
Il popolino e buona parte dell’opinione pubblica parteggiava per i camorristi, ci furono molti incidenti, molte sostituzioni di pubblici ministeri e giudici.
La base principale dell’inchiesta furono le rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, detto “o’ cucchieriello” (cocchiere), un pregiudicato che aveva 23 anni all’epoca dei fatti, a cui si accodarono altri pentiti.
Alla fine furono rinviati a giudizio circa 30 imputati, tra cui Enrico Alfano, detto “Erricone”, considerato il capo della camorra del quartiere di Vicaria, Giovanni Rapi detto “O’ professore” oppure “O’ maestro”, frequentatore di circoli altolocati, ed un sacerdote, don Ciro Vitozzi.
Molte furono le illazioni sulle presunte manchevolezze di giudici e magistratura, sulle infiltrazioni politiche, su quelli che furono i primi pentiti della storia processuale della camorra.
Aneddoto:
Il giornalista Vito Pellizzari, che redigeva i resoconti del processo di Viterbo per il “Giornale d’Italia”, scrisse in un articolo che tutti i personaggi famigerati che sedevano nel gabbione somigliavano stranamente ai tipi realisticamente dipinti da Ferdinando Russo nel suo romanzo “Le memorie di un ladro”.
Il pittore Luca Postiglione lesse l’articolo e lo mostrò la sera al Gambrinus a Poeta, che tutte le sere era seduto al caffè. “On Ferdinà, liggite ccà..!”
Ferdinando Russo lesse, sorrise e commentò: “Avite raggione: i’ ll’aggio conosciute a uno a uno ‘a sti signure!”
(l’aneddoto è riportato in “Napoli racconta…”)