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Come riporta Antonio Giordano sulla Gazzetta dello Sport, Roberto Saviano si è raccontato in un intenso monologo durante il Festival dello Sport di Trento, sul palco dell’Auditorium Santa Chiara. Il tema, «la solitudine», è diventato il punto di partenza per un viaggio tra ricordi, emozioni e calcio. «La solitudine è l’assenza di testimoni nella vita, la sofferenza di non poter condividere emozioni» – ha detto Saviano – «ma sul palco si trasforma nel piacere di ascoltare il respiro della gente, di coglierne le reazioni, di annusarli».
Come ricostruisce Giordano sulla Gazzetta dello Sport, Saviano ha intrecciato la sua storia personale con quella del Napoli e di Maradona. «Italia-Argentina, Mondiale ’90. Avevo la bandiera azzurra, poi segna Schillaci, pareggia Caniggia e mio padre, che sentiva fischiare Diego, si unisce al coro in sua difesa. Da quel momento, si tifa per Maradona, la nostra Patria».
Parlando dei tre scudetti del Napoli, Saviano ha spiegato: «Il primo è lo spartiacque, il terzo ci ha restituito quella condizione. Trentatré anni rappresentano un vuoto generazionale: ci sono ragazzi che non sapevano cosa volesse dire essere campioni d’Italia». E sugli allenatori: «Voto Bianchi, un asceta, capace di governare uno spogliatoio difficile. Poi Spalletti, che mi ha regalato anche lo spettacolo. Ma sono grato anche a Bigon e a Conte: a lui chiedo il bis».
Nell’intervista raccolta dalla Gazzetta dello Sport, Saviano si è soffermato sul suo idolo assoluto: «Maradona era il più forte, il più bello, l’atleta capace di respingere tutto quello che gli veniva addosso. Si allenava poco, ma bastava vederlo per capire che non era un calciatore come gli altri: era un rapporto sacro con la città».
C’è spazio anche per il presente: «Lobotka è l’intellettuale del gruppo, anche se ora è sotto tono. L’infortunio non ci voleva, ma riposare gli farà bene». E sugli attaccanti: «Hojlund mi fa impazzire, è speciale. Mi ha conquistato dopo la paura per l’infortunio di Lukaku».
Saviano, nella ricostruzione di Antonio Giordano per la Gazzetta dello Sport, ricorda con nostalgia il gol di Maradona da centrocampo contro il Verona, «visto a metà, perché mio padre mi aveva scaraventato in terra dall’emozione», e confessa la sua più grande delusione sportiva: «Lo scudetto del 2018, quello perso in albergo a Firenze. Ma Sarri ha regalato un calcio meraviglioso, da ricordare per sempre».
Oggi, Saviano dice di identificarsi in De Bruyne: «Non è ancora al top, ma so che tornerà. E aspetto che McTominay ricominci a segnare. Finché c’è Hojlund, va bene così». Poi il sogno: «Ancora uno scudetto, subito, per metterne due di fila. Sarebbe la prova che siamo una forza vera».
Infine, la solitudine vinta: «Sconfiggerla per me significa andare al Maradona, vedere il Napoli. Non è semplice, ma mi piacerebbe tanto».