Lo sapevi che: Il Ragù napoletano impressionò anche Freud

Freud e il Ragù: ribollire di misteri in cucina

Pericolosissimo sedersi a tavola senza conoscere poche essenziali regole di sopravvivenza. E non solo per la necessità di evitare che si sia in tredici tra i commensali (l’ultima volta che a mensa si accomodarono in 13 uno finì messo in croce), ma anche perché su quel pezzo di tavola si combattono le più agguerrite battaglie tra bene e male, si rafforzano i più irriducibili tabù, le peggiori maledizioni.

Il Ragù Napoletano  impressionò anche Freud

Matilde Serao, incurante degli obblighi storici, fece risalire la leggenda del ragù a Chico, un mago napoletano del Duecento (il pomodoro arriverà nel vecchio continente solo con la scoperta dell’America, 1492), ma peggio, la Serao concentra nella pentola la feroce lotta tra angeli e demoni, col mago intento a tagliare maccheroni, conteso tra Jovanella di Canzio (l’angelo che gira la mestola nella salsa del pomodoro) e il diavolo (che con una mano gratta il formaggio e con l’altra soffia sotto la caldaia).

La Serao concentra nella pentola un ribollire lavico di contesa e passione. Questo «ragù di peccatori succulenti» (Majakovskij) di ingannevole pomo d’oro, seduzione e fascino di quanti lo credettero afrodisiaco o arma impropria, per quanti lo immaginarono un velenoso alleato (come i congiurati che ordirono la morte di Abraham Lincoln, convincendo il cuoco della Casa Bianca a servirgli una salsa succulenta. Nel dopocena, scoperta la congiura, restò la passione smodata del presidente per il pomodoro).

E sorvolando sulla questione sollevata da Freud, che vedrebbe nei consumatori di maccheroni dei dipendenti cronici dalle influenze materne (furono degli zitoni, conosciuti nel corso di un viaggio a Napoli, nel 1902, mangiati al ragù: il grimaldello per spalancare le porte che si aprirono sui lunghi e bui corridoi della psiche umana). Freud ne rimase tanto colpito da tornare anche in seguito sulla questione ragù, parlandone approfonditamente nel suo Edipo in cucina, quando sottolineò, secondo l’antropologo Marino Niola, una particolare modalità della castrazione maschile ad opera della madre, una sorta di sanguinolento corollario dell’invidia del pene.

A Napoli la pentola bolle per tre giorni, Sabato domenica e lunedì, dove si cucina il dramma fino alla sua soluzione. Nella celebre commedia di Eduardo, ma in tutte le macellerie napoletane, si consuma la celebrazione di questo antico rito, di pentole che sobbolliscono per ore a fuoco lentissimo, di donne che impiegano il loro tempo, il vero segreto di questo rito, creando storie e memorie per la famiglia. Di pomodori pazientemente scelti e tagli di carne segreti come antichi mantra privati. Nessuna famiglia napoletana ha la stessa ricetta del ragù.

 

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