Più di 500 panchine e un’Europa League in bacheca: dimenticato da tutti | L’alcol ha preso il sopravvento

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Nel mondo del calcio, il successo è spesso effimero: basta un periodo lontano dai riflettori per finire nel dimenticatoio.
Nel panorama calcistico mondiale, il rapporto tra calcio e alcol è sempre stato complicato. Da un lato, le sponsorizzazioni milionarie dei brand alcolici sulle maglie e negli stadi, dall’altro la consapevolezza crescente dei rischi per la salute degli atleti. In un’epoca in cui ogni dettaglio della preparazione fisica è calibrato al millimetro, l’alcol rappresenta un fattore destabilizzante: rallenta i tempi di recupero, compromette la coordinazione e mina la concentrazione.
Eppure, il connubio resta solido. Molti calciatori, una volta lasciato il campo, hanno trasformato la passione per il vino o per la birra in vere e proprie attività imprenditoriali. Qualcuno lo fa per moda, altri per radici familiari, altri ancora – e forse inconsciamente – per restare aggrappati a un rituale che ha sempre accompagnato i momenti di festa o di frustrazione nello spogliatoio.
Non è raro che la vita da ex giocatore o ex allenatore diventi una fase difficile da gestire: il ritmo frenetico delle giornate in campo lascia spazio al vuoto. E in quel vuoto, l’alcol diventa talvolta un compagno silenzioso. Alcuni ne parlano, altri lo trasformano in arte, pochi riescono a rimettere in piedi un progetto di vita coerente.
L’elenco è lungo: da George Best, talento dannato che lottava con i suoi demoni interiori, fino ai racconti più recenti di ex calciatori che hanno confessato di aver toccato il fondo. Ma tra queste storie, ce n’è una che merita di essere raccontata con uno sguardo diverso.
Un nome che riecheggia nel passato
Negli anni ’90 e 2000, Alberto Malesani era una figura familiare per ogni appassionato di calcio italiano. Allenatore dalla forte personalità, dallo stile diretto, schietto e spesso sopra le righe, ha lasciato un segno indelebile su molte panchine: Parma, Verona, Fiorentina, Bologna, e tante altre. Memorabile il suo trionfo europeo nel 1999 con il Parma, quando sollevò quella che all’epoca era la Coppa UEFA, oggi Europa League.
Poi, col passare del tempo, Malesani è sparito dai radar. Nessun clamore, nessun addio ufficiale. Solo silenzio. Fino a che, qualche anno fa, il suo nome è tornato a circolare. Ma non per un ritorno in panchina.
La svolta nelle vigne
Quello che in molti ignorano è che Malesani ha trovato una nuova passione lontano dal rettangolo verde. E proprio nell’alcol, sì, ma in una forma nobile, autentica: il vino. L’ex tecnico ha fondato “La Giuva”, azienda vinicola nata dal desiderio di riscoprire le radici della Valpolicella, in una zona collinare incontaminata nei pressi della Val Squaranto, a nord di Verona.
Un progetto nato con ambizione e amore per la terra, che ha preso vita nei vigneti calcarei di 400 metri d’altitudine, tra olivi, boschi e alberi da frutto. Malesani voleva che i suoi vini raccontassero il territorio, che avessero struttura, acidità e mineralità. Che avessero la sua stessa anima: forte, ruvida, vera. Malesani non allena più da tempo. Non partecipa alle trasmissioni, non rilascia interviste. È come se il calcio l’avesse dimenticato. Ma forse è lui ad aver voltato pagina, scegliendo un’esistenza lontana dalla pressione, dal clamore, dai riflettori. L’alcol, in questo caso, non è fuga ma rinascita. Non è caduta, ma ritorno alla terra.