Più di 100 partite alla Juve, 40 in nazionale: dopo il ritiro finisce in galera | Era invischiato con la malavita

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Manette - napolipiu.com

Spesso la vita di un calciatore non è facile dopo il ritiro. Serve attenzione per non cadere nei tranelli degli approfittatori.

La vita dei calciatori dopo il ritiro dal calcio giocato può essere complessa e sfidante. Molti affrontano un senso di vuoto e perdita di identità, poiché la loro esistenza era strettamente legata al ruolo di atleta professionista. La mancanza di una routine strutturata e di obiettivi chiari può generare ansia e depressione, rendendo difficile l’adattamento alla nuova realtà.

Oltre alle sfide emotive, i calciatori possono affrontare problemi fisici persistenti, come dolori cronici dovuti agli anni di attività intensa. La gestione di queste condizioni senza il supporto medico costante ricevuto durante la carriera può essere complicata. Inoltre, la mancanza di preparazione finanziaria adeguata può portare a difficoltà economiche, poiché non tutti riescono a mantenere lo stile di vita precedente.

La transizione alla vita post-carriera richiede spesso una ristrutturazione completa della propria identità e delle proprie competenze. Alcuni ex calciatori riescono a reinventarsi in nuovi ruoli, come allenatori, commentatori sportivi o imprenditori, ma questo percorso non è privo di ostacoli. La mancanza di formazione e di supporto adeguato può rendere difficile trovare una nuova direzione professionale soddisfacente.

Per affrontare queste sfide, è fondamentale che i calciatori ricevano supporto già durante la loro carriera attiva. Programmi di formazione, consulenza finanziaria e supporto psicologico possono facilitare una transizione più agevole alla vita dopo il calcio. Organizzazioni sportive e associazioni di categoria stanno iniziando a riconoscere l’importanza di preparare gli atleti al “dopo”, promuovendo iniziative volte a garantire il benessere a lungo termine dei professionisti dello sport.

Dai trionfi sportivi alle vicende giudiziarie

Vincenzo Iaquinta, nato a Crotone il 21 novembre 1979, è stato uno degli attaccanti più noti del calcio italiano, con all’attivo una carriera culminata con la vittoria del Mondiale nel 2006 con la Nazionale. Dopo il ritiro dal calcio, il suo nome è però tornato alla ribalta per motivi giudiziari legati all’inchiesta “Aemilia” condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna. Il 4 febbraio 2015, durante una perquisizione nella casa del padre Giuseppe, vengono ritrovate armi da fuoco appartenenti all’ex calciatore, regolarmente denunciate ma custodite in violazione delle norme vigenti.

Il 21 dicembre dello stesso anno, Iaquinta viene rinviato a giudizio per possesso illegale di armi, aggravato dal favoreggiamento della ’ndrangheta, organizzazione criminale alla quale era ritenuto affiliato il padre. Nel maggio 2018, la procura chiede per lui sei anni di reclusione, ma il 31 ottobre arriva la sentenza di primo grado: due anni di carcere, con la caduta dell’aggravante mafiosa.

Iaquinta
Iaquinta – fonte Facebook – napolipiu.com

L’assoluzione morale e la condanna definitiva

Nel processo d’appello del luglio 2019, i giudici ribadiscono la totale estraneità di Vincenzo Iaquinta a contesti mafiosi, riconoscendo come non vi fosse alcun legame tra l’ex calciatore e ambienti criminali. La sua posizione viene così chiarita sul piano morale, seppur la condanna per violazioni sulle armi resti confermata.

Il 17 dicembre 2020 la Corte d’appello ribadisce la condanna a due anni per l’ex attaccante. Al padre Giuseppe, inizialmente condannato a 19 anni, viene invece ridotta la pena a 13 anni di reclusione.