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O cap’ ’e casa. Tutt i padri di Napoli, da san Gennaro a Carlo di Borbone…

’O cap’ ’e casa. Una volta il buon vecchio padre di famiglia a Napoli si chiamava “’o cap’ ’e casa”, un personaggio illustre e venerabile al quale si dovevano rispetto e obbedienza.

’O cap’ ’e casa: I padri di Napoli

’O cap’ ’e casa: così era ed è considerato dai napoletani il loro santo patrono, san Gennaro, così lo chiamano in maniera affettuosa e bonaria.

Re, prìncipi e generali che sono entrati in Napoli, nel corso dei secoli, dopo aver vinto con la forza delle armi dovevano superare la prova più difficile, l’approvazione di san Gennaro.
Entrare nella casa del santo in via Duomo, passare in rassegna i principali omaggi resi a lui significa anche sbirciare nei grandi avvenimenti della storia della città e del reame e, dunque, appagare qualche curiosità.

Ruggiero II il Normanno, fondatore del Regno, entrò a Napoli nel settembre del 1140 e la prima cosa che fece fu quella di presentarsi a san Gennaro.
Nel 1305 Carlo II d’Angiò ordinò ai suoi orafi di corte Etienne Godefroy, Milet d’Auxerre, Guillaume de Verdelay di rivestire il busto di san Gennaro con una patina d’argento e di racchiudervi le reliquie del suo cranio. Il busto reliquiario è custodito nella cappella del santo e viene esposto in occasione del miracolo.

Alfonso II, succeduto al padre Ferrante l’8 maggio del 1494, ascoltò la messa solennemente cantata dal cardinale Monreale, indossò le vesti di diacono e si fece incoronare re di Napoli.

Il 12 maggio 1495, re Carlo VIII di Francia, scortato da uno stuolo di cavalieri in armi, si recò dritto alla chiesa del duomo; qui sotto un pallio, di fronte al sangue di san Gennaro, giurò di osservare i privilegi e i diritti della città e dell’intero reame.

Un altro famoso giuramento fu quello di Carlo V, che entrò in duomo il 25 novembre 1535. Un giorno di settembre del 1630, preceduta da grandi ufficiali, circondata da nobili cavalieri e seguita da una schiera di arcieri, entrava nel duomo una donna bellissima:  Maria d’Austria sposa del re d’Ungheria.

Osservato il magnifico scanno pontificale dell’arcivescovo di Napoli, alla principessa sembrò offensivo quel seggio al confronto del trono della regina, che era di marmo. Si rivolse al cardinale Guzman e gliene ordinò la immediata distruzione.

Ancora un giuramento davanti a san Gennaro. Questa volta era il viceré duca d’Arcos, che giurò di rispettare i capitoli richiesti dal popolo napoletano per porre fine alla rivolta, passata alla storia come quella di Masaniello.

Il 10 maggio 1734 Carlo di Borbone entrò a Napoli accolto da un popolo esultante che vedeva finalmente, dopo due secoli, la città ritornare capitale del regno.Davanti alla chiesa trovò a riceverlo il cardinale Pignatelli e insieme andarono a pregare il santo patrono, che manifestò la sua benevolenza operando il miracolo fuori tempo.
In segno di ringraziamento e devozione il nuovo re offrì a san Gennaro una collana tempestata di diamanti e rubini. Quindi pronunciò le famose parole: «Yo, por lo que el rey tiene determinado, recibo en mi propio nombre vuestra obediencia; y juro vuestros privilegios, y que los observaré» (In quanto re decido che sul mio nome vi sia resa ubbidienza e giuro che i vostri privilegi saranno rispettati).
Nel 1759 Carlo ereditò la corona di Spagna e prima di partire da Napoli andò a salutare san Gennaro e volle portare con sé una parte del prezioso sangue. Il sangue di una delle due ampolline è tuttora in Spagna e ogni anno, quando il miracolo avviene a Napoli, esso si verifica anche nella cattedrale di Madrid.

Quando giovedì 24 gennaio 1799 entrò a Napoli, il generale francese Championet e si recò subito da san Gennaro.  Championet, circondato dai suoi ufficiali e scortato da un corpo di cavalleria, si inginocchiò nella cappella del Tesoro e rimase in preghiera fin quando il sangue non si sciolse. La storiografia successiva parlò di un miracolo niente affatto spontaneo,  un nemico del re e della sua fede, credette che san Gennaro avesse tradito la causa del trono e gridò: «Pure san Gennaro s’è fatto giacobino». Pare che il popolo ne decretasse non solo la destituzione dalla “carica” di patrono, ma la rimozione da capitano dell’armata napoletana, sostituendolo con sant’Antonio abate.
Il generale francese, prima di lasciare la cappella, depose ai piedi del santo una mitra ricca d’oro e tempestata di gemme.

Si potrebbe continuare: qui, nella cappella del Tesoro, vennero Gioacchino Murat, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, Umberto e Margherita di Savoia… «Chi non si è prostrato nella cappella del Tesoro innanzi alle reliquie e non ha, dopo la fervida preghiera di penitenza o di speranza, chi non ha offerto un dono, in memoria, a san Gennaro?».
Qui verranno altri a rendere onore al padrone di casa; verranno fin quando esisterà Napoli, perché questa città nella sua religiosità pagana, tra mille superstizioni, non potrà fare a meno del suo santo e dei suoi miracoli. ’O cap’ ’e casa .

fonte: Camillo Albanese-Tradizioni Italiane

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