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L’attaccante belga si racconta alla Gazzetta dello Sport: «Scudetto bellissimo, ma ora si riparte. Voglio sempre di più. Aiuto Lucca e i giovani, ma io guardo a Benzema: si può vincere anche dopo i 32»
di Vincenzo D’Angelo – Gazzetta dello Sport
CASTEL DI SANGRO – Non serve parlare per dominare la scena, basta esserci. Romelu Lukaku, totem del nuovo Napoli, si racconta in una lunga intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, tracciando un bilancio tra passato e presente, tra delusioni e rivincite, con la consapevolezza di chi ha ancora molto da dare.
«Quando chiudo gli occhi e ripenso alla festa scudetto – confida l’attaccante belga a Vincenzo D’Angelo della Gazzetta dello Sport – vedo tanta gente che festeggia, sorrisi, la gioia di una città. È stato bellissimo, un’esperienza unica». Un titolo costruito col lavoro, con l’aiuto di Antonio Conte: «Con lui ho la stessa mentalità, migliorarsi ogni giorno. La nostra relazione funziona perché mi dà stimoli quotidiani. È uno dei miei padri calcistici, come Roberto Martinez, Koeman e Jacobs: mi hanno cambiato la vita».
Lukaku ha anche raccontato il suo ruolo nel convincere De Bruyne: «Pochissimo. Due chiamate semplici. Gli ho spiegato cos’è Napoli, cosa vogliamo fare. Lui ama le sfide».
L’uomo, oltre il calciatore. A Vincenzo D’Angelo della Gazzetta dello Sport, Lukaku parla anche delle sue trasformazioni: «Sono più esperto, controllo meglio le situazioni. Prima ero solo reattivo, adesso guardo le partite, studio. E sono diventato più altruista, lo dimostrano gli assist. Prima pensavo solo a me».
Sull’esperienza a Napoli: «Avevano dubbi su di me, ma io sapevo che avremmo fatto qualcosa di speciale. Vincere contro l’Inter? Sarebbe stato uguale con Milan o Juve. È stato speciale il percorso, le ultime settimane sono state come sulle montagne russe».
Il retrogusto amaro di Istanbul e della finale persa con l’Inter resta: «L’ho vissuta male, per un anno. Non ho potuto dire la mia. La gente ha parlato, io ho preferito rispondere in campo. Non voglio polemiche, ma quando dico la verità diventa scomoda». E ancora: «Volevo fare meglio: 14 gol e 10 assist sono buoni numeri, ma non il massimo. Devo sempre alzare l’asticella».
Alla Gazzetta dello Sport, Lukaku parla anche del futuro: «A 32 anni si può migliorare. Ho la mia palestra in casa. I miei riferimenti? Benzema, che ha vinto il Pallone d’Oro dopo i 32. Serve la mentalità giusta, come dice LeBron James». E cita Ibra: «Rispetto la sua carriera, è stato unico. Ma con lui quella lite non va chiarita: non serve».
Un pensiero anche per Lucca: «Gli dico di capire i movimenti. Io al primo anno con Conte ci misi quattro mesi. Ora lui ha tre opzioni a ogni palla».
Per una volta, niente estate da ansia di mercato: «Pace & Love – scherza –. Ho seguito mio figlio nei tornei giovanili con l’Anderlecht. È stato bello».
E quel passato, che ritorna nel presente: «Mia madre che mischiava acqua e latte. Ora alza la coppa scudetto sul mio cellulare. Ho fatto studiare tutta la mia famiglia. È una rivincita». Parla dei suoi figli con orgoglio: «Hanno 3 e 7 anni, parlano già tre lingue. Io voglio che non vivano ciò che ho vissuto io».
Papà Lukaku si definisce «coccolone. Li abbraccio sempre. Con mia mamma, la mia fidanzata e mio fratello sono più severo».
Sul razzismo: «Parlarne non basta. Bisogna fare di più».
E sulla rete contro il Cagliari: «Gol con tecnica, non solo potenza – ride –. Mi avevano dato per morto. Ora ho vinto due volte. La seconda è quella che conta: significa essere vincenti. Per quello ho pianto».
Infine, una nota napoletana: «Il dialetto? È difficile, parlano veloce. Ma adoro quando dicono “we, guagliù”. Mi fa impazzire, lo scrivo a tutti gli amici».