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Tina Pica trascorse gli ultimi anni della sua vita dimenticata dai suoi colleghi

Il nipote di Tina Pica racconta come la grande attrice trascorse gli ultimi anni della sua vita dimenticata perfino dai suoi colleghi più cari.



GLI ULTIMI ANNI DI VITA DI TINA PICA

Tina Pica, incominciò a gustare il sapore del successo soltanto all’età di sessantacinque anni quando partecipò a quella serie di film-commedia come Pane amore e fantasia. Il giornalista e scrittore, Vittorio Paliotti intervista il nipote della grande Tina Pica. Peppino Pica, il nipote che l’accolse vecchia, nella sua casa del Vomero, che l’accudì con amore filiale e che, il 15 agosto 1968, ebbe il triste privilegio di chiuderle gli occhi, non sa reprimere un sospiro.

«Alla Madonna, a Gesù Cristo e in particolare a Santa Rita, detta la Santa degli Impossibili, lei che era religiosissima e che aveva fatto allestire qui, fra queste pareti, una piccola cappella ove ogni domenica veniva un prete a dir messa, lei chiedeva il miracolo di una rivincita. L’ha avuta postuma».

IL PARAGONE TRA TINA PICA E TOTO’

“Fra lei e Totò?, certo, ogni paragone risulta difficile; la statura artistica del “Principe del sorriso“, il suo tipo di comicità, e la sua popolarità furono, in ogni tempo, assolutamente diversi.

IL SUCCESSO A SESSANTACINQUE ANNI

Lei, Tina Pica, incominciò a gustare il sapore del successo soltanto all’età di sessantacinque anni quando, nel ruolo ben disegnato di “Caramella“, partecipò a quella serie di film-commedia che furono aperti, nel 1953, da Pane amore e fantasia e che la videro interlocutrice di Vittorio De Sica, intraprendente “maresciallo Carotenuto” e spalla di Gina Lollobrigida, freschissima “Bersagliera”.

I DESTINI DI TINA E DEL PRINCIPE DE CURTIS

I loro destini però, quello di Antonio Del Curtis e quello di Tina Pica, sono stati in un certo senso paralleli: quei film, di cui fra il 1957 e il 1960 lei fu al fine protagonista, vengono ora continuamente riproposti nelle sale cinematografiche come dalle emittenti televisive. 

La nonna Sabella, Arriva la zia d’America, La zia d’America va a sciare, La nipote Sabella, La Pica sul Pacifico, La sceriffa, La duchessa di Santa Lucia, Da qui all’eredità, sono sulla cresta dell’onda, così come è nelle orecchie di tutti una frase pronunciata con quella sua voce cavernosa che pareva scaturita dalle viscere della terra: «Benedetti Gesù e Maria».

DIMENTICATA ANCHE DAI COLLEGHI PIU’ CARI

«E dire che trascorse gli ultimi anni della sua vita dimenticata perfino da quelli che erano stati i suoi colleghi più cari».

LE PREGHIERE DI TINA PICA

Il nipote, immagino, doveva compiere sforzi giganteschi per non ridere quando Tina Pica pregava. Le sue orazioni, infatti, le diceva in un latino maccheronico, anzi in un italiano sconvolto e innocentemente beffardo, che doveva derivare, non c’è dubbio, dal recitativo di suo padre noto “Anselmo Tartaglia” dei teatri “Partenope” e “Fenice”.

L’Ave Maria di Tina Pica suonava grosso modo così: «Au Maria, Orazia prena, ‘o ministero, ‘o reberitto, ‘a secula…». Queste preghiere Eduardo De Filippo gliele lasciò recitare nel terzo atto di Napoli Milionaria dove lei, nei panni della vecchia Adelaide, vegliava il finto cadavere di Gennaro Jovine.

ERA UNA RIBELLE

Congenitamente smorfiosa, costituzionalmente ribelle, era figlia d’arte nel senso più totale dell’espressione: comico di spalla suo padre Giuseppe, bella amorosa sua madre Clementina Cozzolino, Tina era nata, il 17 febbraio 1888, a ridosso del Borgo Sant’Antonio Abate, nello stesso edificio in cui apriva i suoi battenti il teatro “San Ferdinando”; e lì, al “San Ferdinando”, scelta dal vecchio e grande Federico Stella, aveva esordito all’età di sette anni. Le diedero, allora, una particina in Il cerinaio della Ferrovia, patetico drammone di Eduardo Minichini; ma, stranamente, il ruolo era quello del maschietto.

I DE FILIPPO

«I rapporti di zia Tina con i De Filippo», mi precisò il nipote, «furono sempre di grande affetto con Peppino e con Titina e di assoluta autonomia nei confronti di Eduardo».  «Una volta, scocciata per certi atteggiamenti di Eduardo, la zia Tina non esitò a piantare in asso la compagnia. “Eduà”, disse, “io da qua me ne vado. Ma sono sicura che voi, prima o poi, mi verrete a prendere in automobile”. A quei tempi, bisogna chiarire, la macchina era un mezzo di trasporto che possedevano in pochi, e che veniva affittato dai parenti degli ammalati per andare a rilevare un qualche grosso luminare della medicina. Be’ l’indomani stesso, Eduardo si presentò in automobile sotto la casa di zia Tina, in via Santa Teresa, e la pregò di ritornare a recitare».

Era stato firmato un armistizio autentico: da allora, Eduardo riservò, a Tina Pica, una parte di rilievo in ogni sua commedia. La volle poi, accanto a sé, anche in Palummella zompa e vola, di Antonio Petito, con cui, nel 1954, inaugurò il risorto teatro “San Ferdinando”. Fu, quello, l’ultimo impegno teatrale di Tina Pica.

Tina Pica trascorse gli ultimi anni della sua vita dimenticata dai suoi colleghi

IL CINEMA

Il cinema, ormai, l’aveva completamente assorbita. Già, nel mondo della celluloide, si era incominciata a segnalare nel 1934, con una partecipazione al Cappello a tre punte, ma nel dopoguerra era diventata il condimento quasi indispensabile di ogni film-commedia.

Il suo vocione d’oltretomba, il suo volto smorfioso (“sturcioso”, anzi) le diedero una popolarità che straripava oltre il personaggio da lei interpretato. I suoi erano, per lo più, ruoli di anziana zitella, o di “bizzoca”, cioè bigotta. «Attenzione, però!», mi fece notare il nipote.

«La zia Tina sapeva dare due diverse versioni della donna in preghiera: quella della falsa beghina e quella della cattolica convinta.

E anzi, debbo sottolineare, prima di affrontare uno qualsiasi di questi ruoli, la zia Tina, nel timore di arrecare offesa alla divinità, andava a consigliarsi con il suo direttore spirituale. Nessun produttore, nessun regista, riuscì mai a farle fare, nel cinema, qualcosa che potesse turbare la sua coscienza.

Lei del resto, ogni mattina, prima di recarsi sul set, entrava in una chiesa e prendeva la comunione». Molti dei soldi che guadagnò, fra il 1957 e il 1960, con i film di cui fu protagonista, li spese per aiutare orfani e carcerati.

Tina Pica trascorse gli ultimi anni della sua vita dimenticata dai suoi colleghi

LA VITA PRIVATA

Alla sua vita privata, però, Tina Pica concesse molto di più di quanto comunemente non si creda. Ingannati dal suo aspetto fisico, gli ammiratori si ostinarono a ritenerla zitella e magari anche casta; invece ebbe due mariti.

Il primo, certo Luigi, un orefice, morì a distanza di pochi mesi dalle nozze, avvenute nel 1918; il secondo, l’appuntato di pubblica sicurezza Vincenzo Scarano, fu il vero compagno della sua vita; si spense nel 1967 dopo più di quarantanni di matrimonio.

«Siano benedetti Luigi e Vincenzo», biascicava Tina Pica dopo che fu rimasta per la seconda volta vedova.

Fu allora che, ormai quasi ottantenne, entrò a far parte della famiglia di suo nipote Peppino, figlio di un fratello:  «Si portò appresso pacchi di santini, tre o quattro statue di Madonne e intere scatole di medagline di Santa Rita.




Prim’ancora di vedere la stanza che le avevamo assegnato. volle sapere se disponevamo di uno sgabuzzino ove allestire una cappella. Poi volle assicurarsi che, in cucina, esistesse una pentola di creta ove mettere a bollire il ragù. Ed è cosi che io me la ricordo: mentre prega e mentre cucina».

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