La Storia
Quando nel settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, egli diede subito l’ordine di rendere accessibile la sala “giornalmente al pubblico“. Delle tre chiavi, non trovandosi quella in dotazione alla casa reale, Garibaldi non esitò, tra lo sconcerto generale, ad ordinare di “scassinare le porte“.
Nel corso dei decenni successivi, alla libertà ridata da Garibaldi subentrò progressivamente la censura del regno d’Italia che vide il suo culmine durante il ventennio fascista, quando per visitare il Gabinetto occorreva il permesso del ministro dell’educazione nazionale a Roma. La censura ha perdurato nel dopoguerra fino al 1967, allentandosi solo dopo il 1971 quando dal ministero furono impartite le nuove regole per regolamentare le richieste di visita e l’accesso alla sezione.
Solo dopo il 1971 furono stabilite nuove regole dal ministero per regolamentare le richieste di visita e l’accesso alla sezione.
Pan insegna al pastorello Dafni a suonare il flauto (proveniente dalla collezione Farnese)
Curiosita’
I genitali maschili erano utilizzati anche come amuleti personali, portati da uomini e donne come protettivi contro il malocchio e le malattie. Nel mondo romano il membro virile era considerato, infatti, simbolo di fecondità ed augurio di prosperità e gli si attribuiva il potere di allontare il male.
Falli si trovavano anche fuori o dentro le botteghe come auspicio di buoni affari. Celebre è il rilievo in travertino con fallo e scritta hic habitat felicitas – qui abita la felicità – collocato fuori da un panificio.
In quanto considerato un potente talismano, il fallo era inoltre posto sulle mura, sui marciapiedi e lungo le strade.
L’opera più celebre della collezione è senza dubbio una piccola scultura che raffigura il dio Pan nell’atto di accoppiarsi con una capretta. Pan ha fattezze umane solo nella parte superiore del corpo. Notevole la resa dei particolari, che esalta la natura ibrida di Pan.
Statue del genere si trovavano nei giardini delle ville romane e stavano a simboleggiare una natura carica delle connotazioni idillico-pastorali che le avevano attribuito la letteratura e l’arte provenienti dalla Grecia.
Come è facile immaginarsi, la scabrosità del soggetto agli occhi della società borbonica ne fece l’opera più censurata fra gli oggetti della collezione.
Guarda caso fu solo il re che poté osservarla prima che venisse segregata in un armadio.
REPERTI– Pigmei intenti ad accoppiarsi su barchette sul Nilo, lunghi falli pendenti o eretti, un Ermafrodito in fuga da chissà chi: questo potrebbe capitavi di vedere all’interno del Gabinetto che occupa le sale 62 e 65, al piano ammezzato del museo.
“Le strappai la tunica; trasparente non era di grande impaccio, ella tuttavia lottava per restarne coperta; ma poichè lottava come una che non vuole vincere, rimase vinta facilmente con la sua stessa complicità. Come, caduto il velo, stette davanti ai miei occhi, nell’intero corpo non apparve alcun difetto.
Quali spalle, quali braccia vidi e toccai! La forma dei seni come fatta per le carezze! Come liscio il ventre sotto il petto sodo! Come lungo e perfetto il fianco, e giovanile la coscia. A cosa servono i dettagli? Non vidi nulla che non fosse degno di lode.
E nuda la strinsi, aderente al mio corpo. Chi non conosce il resto? Stanchi ci acquietammo entrambi. Possano giungermi spesso pomeriggi come questo!”
Ovidio, Amores, I, 5 – I° sec. a.C.