Lo sapevi che: Ecco dodici parole inventate dagli italo-americani

Una divertente raccolta di vocaboli italo-americani

Di Giulia Depentor  giornalista Magazine e web

 

Avete presente quelle storie che profumano di documenti ingialliti, speranza e valigie di cartone? Tutti gli italiani hanno almeno un parente che, in epoche più o meno recenti, è emigrato in un altro paese o addirittura in un altro continente.

Non stiamo parlando dei tempi attuali: oggi, tutti si spostano da un posto all’altro, è facile, è a portata di mano e soprattutto, nella maggior parte dei casi, quelli che partono hanno la consapevolezza di quello che li aspetta.

Internet ci permette di sapere in anticipo che cosa vedremo e che cosa dobbiamo fare. Ve l’abbiamo detto, è decisamente più semplice.
Quelli di cui vogliamo parlarvi oggi, sono i migranti di 50, 60, 100 anni fa: quelli che partivano con quattro cose in una borsa logora, si imbarcavano su una nave strapiena senza essere nemmeno sicuri riguardo la propria meta e, una volta arrivati, comunicavano con il paese d’origine tramite lettere che, spesso, ci mettevano mesi ad arrivare a destinazione.

Insomma, tutta un’altra storia.

I migranti di cui ci occupiamo oggi, in particolare, sono quelli che sono sbarcati in America e, superata la dura selezione di Ellis Island, si sono ritrovati a vagare per le strade di Manhattan con gli occhi sgranati di fronte ad automobili e grattacieli, senza capire quasi nulla della lingua e delle abitudini.

Un po’ alla volta, poi, le nuove parole americane sono entrate nella loro vita quotidiana, filtrate dall’ottica italiana e mescolate con i dialetti regionali e hanno animato le strade di Little Italy, continuando – negli anni – a venire associate allo stereotipo dell’italiano, così come viene dipinto in celebri film quali “Il Padrino”.
Ecco alcuni esempi di vocaboli italo-americani che sono entrati nell’uso comune e che vengono ancora utilizzati dai figli e dai nipoti di quei vecchi viaggiatori.

Sciuscià

Tutti conosciamo il film di Vittorio De Sica e tutti abbiamo bene in mente l’immagine del ragazzino dagli occhi tristi che lustra le scarpe per le strade di Roma. Ma siamo sicuri di conoscere bene l’origine di questo termine? “Sciuscià” altro non è che l’italianizzazione di “shoe shine”, il nome inglese del lustrascarpe.

Orrioppo

Questo strano vocabolo, che all’apparenza sembra il nome di un formaggio stagionato, è in realtà una storpiatura dell’esortazione “Hurry Up!””Sbrigati!”
Chissà che cos’hanno pensato i nostri antenati la prima volta che l’hanno sentito…

Vascinga mascina/vachiuma clima

No, non stiamo citando i protagonisti dei cartoni animati giapponesi degli anni Settanta e Ottanta. Malgrado la somiglianza che troviamo tra questi strani nomi e personaggi come Godzilla e Mazinga Z, qui si parla di… elettrodomestici.
Eh sì, ancora una volta i nostri cari abitanti di Mulberry Street hanno deciso di chiamare le cose a modo loro, senza preoccuparsi di controllarne l’ortografia.
Ed ecco che la perfetta casalinga italo-americana puliva casa con la “vachiuma clina” (vacuum cleaner: aspirapolvere) e si occupava del bucato grazie alla “vascinga mascina” (washing machine: lavatrice).

Bisinisse/giobba/bosso

“Che cosa faccio a New York? Ho iniziato con una giobba e un bosso ma adesso ho il mio bisinisse”.
Vediamo se indovinate di che cosa sta parlando il nostro amico.
No, niente a che vedere con la botanica: l’italo-americano in questione sta raccontando ai suoi parenti rimasti nel Belpaese che mentre al suo arrivo aveva un lavoro (giobbajob) con un capo (bossoboss), ora ha fatto strada ed è riuscito ad aprirsi la propria attività, il bisinisse appunto (da business).

Goomba

Ad una prima lettura, questa strana parola potrebbe sembrare il nome di qualche esotico frutto del Sudamerica.
Provate a dirla tante volte: goomba, gumba, gumbà… CUMPÀ!
Ecco il primo esempio di “inglesizzazione” di una parola dialettale italiana.
Gli Yankees avranno avuto un bel po’ da pensare, all’epoca.

Broccolini

Anche se gli italiani sono famosi nel mondo per la loro cucina, in questo caso il cibo non c’entra.
Il bersaglio di questa storpiatura “culinaria” non è altro che uno dei più famosi quartieri di New York City… Brooklyn!
Ci fa molto ridere l’idea della casalinga italiana che sente parlare di questa zona al di là del ponte e, arbitrariamente, decide di chiamarla come uno degli ortaggi che usa tutti i giorni per far da mangiare.
Chi fa da sé…

Toni

Se, da un lato, ci sono parole che derivano dalla storpiatura dell’inglese (e viceversa), ce ne sono altre la cui origine è davvero curiosa e travagliata.
Questa, in particolare, rappresenta un’eccezione rispetto a tutte le altre perché non è nata a Little Italy, bensì tra i vicoli di Firenze.
Si dice infatti che i soldati americani di stanza nel capoluogo fiorentino durante la seconda guerra mondiale, avessero l’abitudine di cucire all’interno delle proprie tute da ginnastica (all’epoca un’assoluta novità per gli italiani) un’etichetta con la dicitura “To N.Y.” (“a New York”), per essere sicuri che arrivassero a destinazione.
Adesso capite perché, in Toscana, le tute da ginnastica vengono chiamate “toni”?

Carro

Sappiamo quello che state pensando: “Ma come? Carro è una parola italianissima!”
Avete perfettamente ragione.
Il fatto è che, in questo caso, non ha nulla a che vedere con il suo significato originario… o quasi.
“Carro” detto da un italoamericano è una semplice italianizzazione di “car” (automobile) ma immaginate per un istante il divertente “misunderstanding”:
l’italo-americano torna in patria per salutare la famiglia e non riesce a spiegarsi perché le automobili in America siano così diverse da quelle italiane!

Wazza mara you?

Un altro esempio di trascrizione della semplice pronuncia di “What’s the matter with you?” (“Qual è il problema?”).
Chissà se i nostri amici americani si sono mai chiesti chi fosse questa “Mara” a cui tutti si riferivano!

Illustrazioni di Ray Pham

Exit mobile version