Lingua Napoletana:’A Caccavella
Le parole di uso comune nella lingua napoletana nascondono sempre un etimologia legata alla storia e alle varie influenze linguistiche che hanno reso il napoletano unico nel suo genere.
Di Gabriella Cundari
‘A Caccavella e derivati: Parliamo di grandi o più piccoli recipienti di rame e/o di coccio. il cui nome deriva dal latino caccabus, contenitore, a sua volta dal greco χαχχαβίς caccabios, con la solita mutazione della b in v (come per vacile, varca, vasà, vàttere, gravone, ecc.).
La prima Caccavella
Il primo, caccavo, a Napoli, come afferma Bracale, non era una pentola di uso domestico, quanto piuttosto ai grossi pentoloni in uso presso taluni monasteri che quotidianamente preparavano e distribuivano minestre per i poveri, di cui il più celebrato era quello del Monastero di Santa Maria La Nova.
Rigorosamente di creta e con i manici, il caccaviello, piuttosto alto ma non enorme, viene ancora oggi usato per bollire, in modo che la schiuma di bollitura non cada fuori.
‘A caccavella era la pentola dedicata alla cottura del ragù o dei fagioli, di misura inferiore.
La caccavella, vanto degli artigiani di Sessa Aurunca, aveva una forma panciuta e bassa. Figurativamente il termine fu esteso anche a indicare donne basse e corpulente, oppure a bizzarri cappellini, posti di sghimbescio o ancora a qualsiasi meccanismo che non funzioni, come un’auto o un orologio.
Della caccavella è stato anche fatto un uso particolare, cioè quello musicale; il putipù, infatti, altro non è che una caccavella sulla quale viene posta una pelle d’asino tesa e seccata e nel cui centro viene fatto sfregare con le mani un bastoncino che emette un suono cupo e basso, tipico accompagnamento della tarantella, che a Capri e dintorni viene definito crò.crò.
Lo sai da dove deriva il termine “fa ò cess”