Ecco la vera storia del traferimento di Maradona a Napoli

Bellinazzo racconta la vera storia di Maradona a Napoli

Fonte: MARCO BELLINAZZO – GIGI GARANZINI-

Cronistoria di un sogno:

L’idea di portare Diego a Napoli è nata,  nell’ufficio di Pierpaolo Marino, allora direttore sportivo dell’Avellino. Entrato nel 1977, a ventiquattro anni, nell’ufficio stampa della società irpina, la squadra della sua città, Marino in poco tempo ne è diventato l’uomo-guida, vincendo il campionato di B e ritrovandosi a essere all’inizio degli anni Ottanta il più giovane fra i dirigenti di prima fascia della serie A.

Il destino di Pierpaolo Marino e quello del Napoli si intrecciano inesorabilmente nella tarda primavera dell’84: tutta “colpa” di un altro centravanti argentino, Ramón Diaz, e degli scrupoli di coscienza di un intermediario di Buenos Aires, tale Riccardo Fujca.

Ci incontriamo a Zingonia, sede dell’Atalanta, di cui è oggi direttore sportivo. Marino, grande esperto di calcio e scopritore di talenti, è un uomo dal carattere forte, “roccioso” come la sua terra d’origine. Di solito, non si concede molto, ma quando si parla di Napoli, e di quel Napoli, gli si illuminano gli occhi e l’emozione travolge ogni riserbo.

Che c’entrano Diaz e questo Fujca con Maradona?

Diaz, il Napoli l’anno prima me lo aveva praticamente regalato in comproprietà, perché aveva giocato un brutto campionato. Però ad Avellino si era ripreso, segnando 11 o 12 gol. Ciò nonostante il Napoli non lo voleva più e quindi stavamo trattando su come risolvere la comproprietà. Una sera sì e una sera no mi incontravo con Antonio Juliano, il responsabile tecnico del club di Ferlaino.

Che periodo era?

Sarà stata fine maggio ’84. Me lo ricordo bene perché nel frattempo stavo pianificando un’amichevole con il Barcellona per festeggiare la salvezza dell’Avellino. E qui entra in scena Riccardo Fujca. Fujca era un intermediario argentino con cui ero in ottimi rapporti. Gravitava nell’entourage di Maradona e del Barcellona, era uno ben introdotto insomma, e mi stava aiutando a organizzare la partita. Una mattina, una decina di giorni prima dell’amichevole che sarebbe costata all’Avellino centomila dollari, Fujca arrivò tutto trafelato nel mio ufficio e mi disse che quella notte non aveva dormito. Poi disse che io ero giovane, che sarei rimasto molti anni nel calcio e che non voleva farmi fare una brutta figura, né compromettere la nostra amicizia.

Addirittura. Cos’era successo di così grave?

Mi disse che il Barcellona sarebbe venuto ad Avellino senza Maradona. Io pensavo che si trattasse di una bizza di Diego e gli dissi che ero disposto a pagargli anche un premio personale per convincerlo. Ma Fujca disse chiaramente che non era un problema di soldi. «Qui tu corri il rischio o che non ti viene tanta gente allo stadio e ci rimetti, oppure se viene, dopo ti flagellano, perché sono venuti a vedere Maradona e Maradona non c’è. Nel contratto non abbiamo messo neanche una penale nel caso in cui manchi Diego». Improvvisamente mi vidi davanti la possibilità di avere trenta-quarantamila spettatori arrabbiati. Non sapevo cosa fare. Allora, Fujca mi consigliò di far saltare l’amichevole con una scusa: «Magari dì che lo stadio non ha la licenza per le gare internazionali».

E tu l’hai fatta saltare?

Quel pomeriggio stesso feci un telex al Barcellona e annullai l’incontro.

Sì, ma non mi è ancora chiaro il legame fra Diaz, l’amichevole col Barça, questo Fujca e l’approdo di Diego a Napoli.

Ora ci arrivo. Mentre siamo nel mio ufficio e cerchiamo di trovare una soluzione per la storia della partita, vedo Fujca sempre più agitato. La cosa che io non capivo era perché Maradona non volesse venire ad Avellino. E insistevo su questo punto. Allora, in via confidenziale, Fujca mi spiegò che Maradona, che già non aveva buoni rapporti con il Barcellona da un po’ di tempo, aveva litigato a morte con Gaspart, l’amministratore delegato del club catalano, a causa di Schuster. Il Barcellona lo teneva fuori rosa e al minimo di stipendio e Maradona era intervenuto a sua difesa, quasi come un sindacalista. Gaspart che era un tipo molto autoritario, proprietario dei migliori alberghi di Barcellona, compreso il Princesa Sofia dove poi avvenne il trasferimento di Diego, “gliel’aveva giurata” e il primo dispetto era di non portarlo a giocare le amichevoli. Poi Fujca mi guardò fisso negli occhi e mi disse: «Se tu fossi uno che ha delle amicizie, questa è l’occasione per fare andare via Maradona dal Barcellona». A me, a sentirgli dire queste cose, si drizzarono i capelli in testa, che allora avevo.

Ma tu ti fidavi di questo Fujca? Non era strano che venisse a proporre a te un affare così?

Di Fujca mi fidavo, e in effetti ero l’unica persona che conosceva in Italia. Certo non pensavo mica di portare Maradona ad Avellino…

E allora dove?

La prima squadra che mi venne in mente fu la Juventus con cui l’Avellino era in ottimi rapporti. Telefonai a Giampiero Boniperti e gli dissi che c’era questa possibilità. Lui mi rispose che Maradona l’avevano già valutato più volte, ma che non lo ritenevano, come persona, uno da Juve, per cui volevano continuare a puntare su Platini.

La seconda telefonata la feci a Mantovani, il presidente della Sampdoria. Anche lui mi rispose di no: «Guardi, io già faccio fatica a tenere Vialli e Mancini, e poi non è più l’epoca in cui faccio grandi investimenti».

Juventus e Sampdoria hanno declinato. Certo, Maradona in bianconero o in blucerchiato non sarebbe stata la stessa cosa.

È stato solo dopo un po’, mentre ero lì con Fujca che ragionavamo, che mi è spuntato questo pensiero: «Oh, ma sai chi dovrebbe prendere Maradona? Il Napoli! Sarebbe la fine del mondo!». Allora, telefono a Juliano in sede al Napoli. Lui pensava che lo chiamassi per il quotidiano aggiornamento su Diaz. Così gli spiegai che lo disturbavo per un’altra questione: «Ma tu con lo straniero che fai? Stai incasinato?». Lui si rabbuiò: «Ah, perché, hai saputo pure tu? Il direttore sportivo della Fiorentina Tito Corsi era venuto qui a discutere una comproprietà, mi ha chiesto anche lui del nostro straniero e io gli ho detto che stavo definendo Sócrates. E lui sai che ha fatto? Ha preso un aereo da Napoli, è volato in Brasile e me lo ha fregato. Io stavo per fare questo colpo e ora non so più che fare…».

Quindi il Napoli aveva scelto Sócrates.

In pratica lo aveva già preso se non fosse stato per l’intromissione della Fiorentina. Juliano era disperato, ma io vedevo il risvolto positivo della situazione. «Guarda Anto’» gli faccio «ti devo di’ ’na cosa: ti avevo parlato dell’amichevole col Barcellona, no? Be’, ho saputo che Maradona è in rotta con la società e si può comprare. Secondo me, se riesci a portare Maradona a Napoli tu fai il colpo del secolo. Tra l’altro io ho qui Fujca che è amico di Cysterpiller, il manager di Diego. Lui ha ottime entrature al Barcellona e se vi incontrate sicuramente ne esce qualcosa di buono.» Lui rimase per qualche secondo in silenzio. Poi mi chiese di mandargli Fujca la sera stessa a Napoli.

E poi cos’è successo?

Fujca da quel momento non l’ho più visto. Dopo quattro o cinque giorni ho iniziato a leggere sui giornali che il Napoli forse trattava Maradona. Poi seguirono altri giorni da teleromanzo, di cui leggevo sempre sui giornali, fino all’epilogo. Ma io Fujca non l’ho più sentito: allora se non avevi un numero fisso, se non conoscevi gli alberghi in cui stavano questi manager, i contatti erano persi. Mica c’erano i cellulari…

Cioè, nessuno del Napoli l’ha ringraziata per la dritta? Nessuno si è fatto vivo con lei?

No. Almeno fino a novembre di quell’anno. Il Napoli anche con Maradona andava male. Ferlaino non si dava pace. Un giorno chiamò a casa mia. «Senta Marino» mi disse «Juliano si sta pigliando tutti i meriti della storia di Maradona, ma io lo so che l’ha fatto venire lei. Io ho interesse che lei possa un domani collaborare col Napoli.»

Cos’era, l’avvio di un corteggiamento?

Allora io ero un emergente. Mi volevano la Fiorentina dei Pontello, la Roma di Viola, e l’allora presidente della Figc, Sordillo, mi propose di diventare general manager della Nazionale e della Figc. Ma io stavo bene all’Avellino e lo dissi anche a Ferlaino. Comunque, lui era avvilito per la pessima classifica del Napoli. «Non riesco a capire» ripeteva. «Se Maradona è così bravo, come mai il Napoli sta penultimo?» Io gli dissi che avevo visto qualche partita e avevo notato il fatto che a Maradona non passavano mai la palla. Avevo la sensazione che si trattasse di beghe di spogliatoio. Era come se la vecchia guardia non vedesse di buon occhio Diego. Così gli consigliai di portare la squadra in ritiro: «Ci vada anche lei, chiuda tutti i giocatori insieme in una stanza e li faccia chiarire tra di loro. Vedrà che se ci sono dei problemi verranno fuori».

Era la settimana prima di Napoli-Udinese, quando Ferlaino ordinò il ritiro di Vietri sul Mare.

Infatti. Il Napoli vinse 4 a 3 e dopo quella gara ripartì finendo all’ottavo posto. Ferlaino mi ritelefonò il lunedì sera, sempre a casa, per non destare sospetti all’Avellino, e mi confermò che durante quel chiarimento collettivo era uscito di tutto. «È successo un casino» disse. «De Vecchi contro Maradona, Bagni che non si capiva da che parte stava.» Da quella volta Ferlaino continuò a martellarmi tutte le settimane, dicendo che dovevamo fare insieme un progetto a Napoli. Mi diceva che avrebbe portato un grande ombrello, Italo Allodi, e che io sarei dovuto essere l’operativo. Voleva anche prendere un allenatore nuovo e io gli suggerii Ottavio Bianchi che avevo avuto ad Avellino.

Insomma, Ferlaino è riuscito a persuaderla?

Ferlaino sa essere molto convincente. A dire la verità tutta la mia famiglia era contraria che io andassi a lavorare con lui, anche perché il Napoli era la squadra più complicata in cui andare per uno di Avellino. Le due tifoserie si detestano e rischiavo fisicamente. Quando ho accettato sono dovuto praticamente scappare dalla mia casa. Da gennaio dell’85, comunque, cominciammo questi incontri clandestini a Milano. Bianchi allenava il Como, io stavo ancora con l’Avellino e Italo Allodi faceva l’opinionista per la «Domenica Sportiva» alla Rai. Lui la domenica sera dormiva all’Hotel Fiera che era vicino agli studi. E noi, in gran segreto, il lunedì lo raggiungevamo, io, Ferlaino e Ottavio, e facevamo queste full immersion. È lì che è nato il progetto Napoli-scudetto, all’Hotel Fiera di Milano.

 

 

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