Curiosita’: Masaniello non fu l’unico ecco tutti i Masanielli di Napoli

MASANIELLO NON FU SOLO

ECCO TUTTI I MASANIELLI DELLA STORIA DI NAPOLI.

Di Francesco Pollasto

 A passare in rassegna i secoli che s’incarnano sotto i nostri occhi, troviamo ogni specie di Masanielli, poveri cristi, lazzaroni, personaggi dimenticati perfino dalle pennellate vigorose di Micco Spadaro.

Pescando nei furori partenopei, il profilo del rivoluzionario si delinea diverso eppure uguale, inaugurato da quel Giovanni Consino, Giovanni da Compsa (o Conza), notabile che nel 616 proclamò Neapolis ducato indipendente, mentre l’impero agonizzava sotto l’attacco degli ultimi invasori. Per tre volte i goti proveranno a entrare a Napoli da Benevento e per tre volte la città respingerà l’attacco, cercando di ottenere l’indipendenza anche da Bisanzio.

Al giovane, primo rivoluzionario, toccherà la morte con un di quello scisma che taglia l’Europa in due, dando vita a uno spostamento di fede ora a favore di Urbano VI, il colto papa napoletano, ora di Clemente VII, l’antipapa d’oltralpe.

La bella Giovanna aveva accolto il francese, provocando il malumore della città; la rivolta era nata per un banale appiccico ; provocata dalla minaccia di un aristocratico a un popolano che sparlava del papa e della regina. «Parlo, si voglio parlare, e m’assetto si mi garba d’assettarme», avrebbe risposto quest’ultimo, provocando una rissa. Poco dopo, non solo il giovane nipote, il Brigante Cosertore, intervenne per difendere lo zio, ma tutto il popolo il giorno seguente si riversò in strada contro il papa; un fiume che girava tra San Pietro ad Aram, Sant’Aloa e San Severino urlando: «A morte lu papa de lo carnevale… Viva lu papa napulitano».

L’ospite francese dovette allestire in tutta fretta un imbarco utile per Avignone, mentre l’animata contesa tra papisti e antipapisti trovava a Napoli il suo fulcro più tumultuoso.

Da un brigante, la vocazione rivoluzionaria passa a un cantiniere, al tempo di Carlo V per la visita dell’imperatore.

Nel 1533 Fucillo di Micone, mercante di vino, finisce a penzolare da una finestra con un cappio alla gola, per aver minacciato l’eletto Domenico Terracina, affinché rimuovesse la nuova gabella: «un rotolo un tornese, che colpiva pesce, vino, carni salate, formaggi e così via.». Si aspettava l’imperatore e andavano mattonate le strade; non era il tempo dei basoli famosi della metà del Seicento, questi qua erano mattoni cotti a spina di pesce, andavano tolte le selici e restaurata la città.

Nuovo aspetto e nuovo volto per una colonia in attesa del suo imperatore, tra colpi di piccone e tumulti soffocati nel sangue. Toledo provvedeva a tutto, senza lesinare alcun tipo di investimento, imponendo una gabella sulla vendita del vino. Il dominio di Carlo V non era ancora cominciato e già il sovrano istituiva gabelle e creava imposte: «Como está el pueblo fielisimo de Napoles?», domanda l’imperatore al suo arrivo, «starebbe meglio senza le pressioni e le angherie del viceré», ribatté Gregorio Rosso l’Eletto del Popolo (G.Campolieti); probabilmente un attimo prima di essere sollevato di peso dall’incarico (e scaraventato fuori dai palazzi) dall’illuminatissimo Don Pedro de Toledo.

Stessa porzione di città, stesso viceré in grande spolvero. Toledo ilmoralizzatore murò le grotte sacre, soffocò le feste orgiastiche, pensò di rendere santi i napoletani, cercando di portare a Napoli l’Inquisizione alla spagnola.

Questa volta è Tommaso Aniello da Sorrento, affascinate omonimia risalente a un secolo prima dell’altro Tommaso Aniello: rivoltoso che come il primo non aveva niente dell’agnello che gli sta stretto dentro al nome. Il popolano viene arrestato dopo aver strappato dalla facciata del Duomo la comunicazione con le nuove regole: «Avendone il Viceré avuto risposte affermative, ottenne da Roma una breve introduzione dal Sant’Offizio e, al 1547, fece affiggere alla porta del Duomo il cartello» (C.Celano) che produsse in un momento la rivolta.

Il popolo con la nobiltà, Cesare Mormile, Giovanni di Sessa e Ferrante Carafa si mettevano alla guida di quel seguito di «uomini donne fanciulli gente di ogni affare», e costringeranno il reggente della vicaria, Geronimo Fonseca, a ordinare la scarcerazione di Tommaso Aniello che, caricato in groppa al cavallo dal Carafa, sarà portato in trionfale corteo per tutta la città. Il 26 novembre di sei anni dopo un muto corteo sfilerà per la città a memoria di questo giorno di liberazione. Lontano è il tumulto, lontano è il sangue e lontano è oramai anche don Pedro de Toledo.

L’ultimo Masaniello, tra quelli che come un faro attraggono l’attenzione di chi li cerca, tra le pagine copiose della storia di Napoli, è Michele ’o Pazzo, il rivoluzionario del 1799 che, a seguito degli intellettuali napoletani, si preoccupava di tradurre per il popolo, parlando una lingua che fosse comprensibile agli ultimi, per far sì che tutti potessero scegliere di appartenere all’utopia illuminista della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità; sperando di poter capovolgere l’infelice destino che di questa rivoluzione sintetizzerà Vincenzo Cuoco: «rivoluzione per il popolo, senza popolo».

 

Fonte: A.Palumbo 101 storie su Napoli che non ti hanno mai raccontato- Newton Compton editori.
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