Personaggi napoletani

Ciccilla una brigantessa del Regno di Napoli

Ciccilla una brigantessa del Regno di Napoli: La storia di un’ antesignana del femminismo. Le passioni, le gelosie, gli orrori e la voglia di parità tra i briganti del regno di Franceschiello.

Ciccilla una brigantessa del Regno di Napoli, che incarna tutte le contraddizioni quella questione femminile inserita in un contesto di “questione meridionale”: Sta in posa appoggiata al fucile: ha il braccio sinistro fasciato e appeso al collo, il cappello, pantaloni neri e la giacchetta dei briganti calabresi. Un viso rotondo, incorniciato dai capelli neri, l’aspetto giovane che contrasta con la serietà dello sguardo. Non parla italiano, conosce solo il dialetto.

È un tipico brigante dell’Italia appena unita, ma il suo nome vi sorprenderà: Ciccilla, alias Marianna Oliverio, detta così per ricordare il dileggiato e non amato re Ciccillo (Franceschiello pseudonimo di Francesco II di Borbone). Nell’eterogeneo gruppo armato che all’indomani della caduta del Regno delle Due Sicilie si oppose all’esercito sabaudo, ci furono anche molte donne. Alcune seguirono i mariti alla macchia per scelta, altre furono rapite e costrette a unirsi ai loro sequestratori, alcune parteciparono ai crimini, altre aiutarono i compagni nella logistica e nei rapporti con le famiglie dei sequestrati.

 Ciccilla una brigantessa del Regno di Napoli: la storia diventa leggenda

«Le brigantesse non richiedevano libertà sessuale, né diritto di voto, ma furono, a loro modo, più che femministe: volevano essere trattate come maschi e comportarsi come tali in quel grave momento» spiega lo storico e scrittore Giordano Bruno Guerri, «Combatterono accanto ai loro uomini: infatti molte diventarono persino capibanda».

Ciccilla, divenne subito molto celebre: “amazzone guerriera” secondo Alexandre Dumas, “la regina delle brigantesse” secondo Franca Maria Trapani. Fu l’unica brigantessa ad essere condannata a morte, ma fu anche assassina per amore. Per amore del marito Pietro, un ex soldato borbonico poi garibaldino deluso, che nel 1861, alla chiamata alle armi nell’esercito sabaudo, disertò e si diede alla macchia.

Si mormorava però che in mezzo ai boschi lavorasse in segreto per il governo piemontese, uccidendo su ordinazione briganti filo borbonici e si sa che si fu l’amante di sua cognata Teresa, sorella di Maria. Maria la uccise a colpi d’ascia e fuggì nei boschi organizzando una proria banda e diventando il terrore dei Piemontesi. Pietro era con lei, ma quattro mesi più tardi venne tradito e ucciso dal suo braccio destro e Maria, nonostante fosse stata ferita nell’imboscata, tagliò la sua testa e la bruciò, così vuole la leggenda, nel tronco cavo di un castagno, perché la Guardia nazionale non potesse portarla come trofeo in giro per il paese. Quando fu catturata, fu condannata a morte, ottenne la grazia dal re Vittorio Emanuele II e finì all’ergastolo.

Il 12 maggio 1864 venne rinchiusa nel terribile carcere di Fenestrelle, vicino a Torino, dove sopravvisse al massimo una decina d’anni. Pare. Perché c’è più di un “ma” sulla fine della brigantessa: Maria conosceva i segreti legami tra suo marito e i piemontesi. Forse il suo silenzio al processo le fruttò la vita e forse anche la libertà. (Da Focus Storia e Pari e uguali.it, modificati)

LO SAPEVATE CHE: IL PRESEPE NAPOLETANO FU UN IDEA DEI BORBONE?

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