IL NAPOLI : LO STATO D’ANIMO DI UNA CITTA’
La prima rappresentativa nata in città, tra il 1904 e il 1905, si chiamava Naples Football Club.
Dopo la Grande Guerra, sulle tracce dell’antenato di ascendenze britanniche, fu fondata l’Associazione Calcio Napoli.
Era il primo agosto 1926. Quello stesso anno la squadra partenopea esordì in un torneo nazionale racimolando la miseria di un punto. Fu l’avvio fallimentare di un’epopea costellata da insuccessi, gioie effimere e disillusioni, che spinse perfino i tifosi a ripudiare l’originaria mascotte.
Nei primi tempi, infatti, era stato scelto come simbolo delle ambizioni del club, un cavallino rampante. Ma ai napoletani delusi dalle ripetute sconfitte quel cavallino sembrava piuttosto ’o ciuccio ’e fichella, novantanove chiaie e ’a cora fraceta! (l’asino di Fichella, novantanove piaghe e la coda rovinata). Motto popolare e dicerie si fecero strada fra le amarezze dei supporter napoletani, fino all’inaugurazione, nel 1930, del Vesuvio, il nuovo stadio poi intitolato al primo presidente Giorgio Ascarelli.
Quel giorno, per scaramanzia, i tifosi addobbarono un somaro con campanellini, cuorni e fiocchi azzurri e lo portarono a fare il giro di campo prima della partita. Si giocava contro la Juventus. Il Napoli era naturalmente in svantaggio, ma intorno alla metà del secondo tempo, Buscaglia, il centravanti azzurro, s’inventò una fantastica doppietta, regalando al Napoli un impensabile pareggio. Da quel giorno i napoletani, tra ironia, speranze e rassegnazione, elessero il Ciuccio a proprio emblema.
In sessant’anni, neppure la testardaggine dell’asino da soma ha aiutato il Napoli a vincere qualcosa d’importante. Il sogno proibito si chiamava scudetto. Ma più che un sogno, ormai era una specie di chimera.
In almeno tre occasioni ci si era andati vicino. Erano gli anni della presidenza di Corrado Ferlaino subentrato al timone ad Achille Lauro. «Ero tifoso del Napoli» racconta Ferlaino, famiglia di costruttori edili «e all’epoca, nel ’68, si formò una cordata di quindici imprenditori per guidare la società. Mentre quelli litigavano, io acquistai un terzo delle azioni. Il Comandante Lauro, per fare un dispetto ad altri, mi nominò presidente.»
L’era Ferlaino, dopo più di vent’anni, tra successi sfumati, stagioni buie e le minacce della camorra («Nell’82 lanciarono una bomba sotto casa in via Crispi. Non ricordo i nomi di quelli che cercarono di strapparmi il Napoli. Le indagini rivelarono riunioni in via Duomo per mettere a punto un piano della malavita. Non scappai perché sono innamorato del Napoli. E di Napoli»), si stava spegnendo, quando nacque l’idea assurda e magnifica di portare al Napoli il giocatore più forte del mondo: Diego Armando Maradona.
Ora, è stato scritto e narrato tanto su quell’estenuante trattativa, sui tira e molla del Barcellona, sulle peripezie dei dirigenti napoletani e sulle loro “furbate”, un misto tra Arsenio Lupin e Totò & Peppino. A tirare le fila di cronache sportive e mitologie, pare che la faccenda si svolse in questi termini, anche se personalmente non ci giurerei…
Fonte: Marco Bellinazzo e Gigi Garzantini